
CRACOVIA (Polonia) Una vecchia penna a pennino da intingere nella bottiglietta di inchiostro Pelikan. Sembra impossibile, ma era con questo strumento, una volta utile per insegnare a fare le aste e poi i primi rudimenti della scrittura alle elementari, che i nazisti, così tecnici, tatuavano ad Auschwitz in modo naturalmente molto doloroso (e poteva essere il contrario?) il numero di matricola degli internati: quello che diventava il nuovo nome, cognome, patronimico, da tenere bene a mente e scattare all'istante, per sopravvivere, appeno uno lo sentiva pronunciato da una guardia o da un kap .
Nell'incontro con i testimoni sopravvissuti che ha concluso gli appuntamenti ufficiali del viaggio del Treno della memoria 2013, in settecento al cinema Kijov dove anche stavolta, per tre ore, non volava una mosca, sono state le due sorelle Tatiana e Andra Bucci. Marcello Martini invece, la staffetta partigiana di Montemurlo in provincia di Prato internata a Mathausen non aveva una tatuaggio sulla pelle. A Mathausen non usava. "Ma quel numero, per 11 mesi diventato il mio nome - aggiunge - lo porto tatuato nella testa. Non si canceller mai". E lo ripete più volte, in tedesco: 76430.
I testimoni ogni volta che incontrano i ragazzi diventano un fiume in piena. Gli studenti li abbracciano con un caloroso applauso. Ricordare doloroso: dolore a volte nascosto con un goccio di ironia, l'ironia toscana di Marcello, ed altre volte mostrato senza vergogna con le lacrime: come quando le sorelle Bucci parlano del cugino Sergio che non c'è più , torturato per esperimenti medici ad Amburgo e poi finito appeso ad un gancio da macellaio. Ricordi che non smettono di affiorare nel racconto di chi scampato e di pugnalare chi ascolta, dopo aver visto per due giorni, dal vivo e per la prima volta, luoghi e strutture del massacro.
La serata si chiude con la voce e il volto di altri testimoni dello sterminio nazista, grazie alle clip video raccolte dalla Fondazione Museo della deportazione e dell'Olocausto di Figline a Prato. Tra loro c'è Shlomo Venezia, recentemente scomparso: la sua ultima intervista. Shlomo era membro del Sonderkommando del crematorio 2 di Birkenau. Il Sonderkommando, il reparto speciale addetto a ripulire le camere a gas, erano testimoni scomodi destinati ad essere eliminati periodicamente. Lui, tra le altre cose, doveva tagliare i capelli ai morti: perchè anche quelli si recuperavano e non venivano tagliati solo ai vivi, utilizzati per tessuti e imbottiture. Shlomo era diventato un implacabile accusatore dei nazisti, soprattutto dopo la scelta di raccontare in un libro la sua incredibile vita.
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