Capogreco: “Difendiamo la storia e il suo insegnamento a scuola”

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8 aprile 2025
8:04

Capogreco: “Difendiamo la storia e il suo insegnamento a scuola”

L’incontro con lo storico dei campi del Duce e dei campi di Salò durante il viaggio della memoria toscano

Capogreco: “Difendiamo la storia e il suo insegnamento a scuola”
I ragazzi del viaggio toscano durante l'incontro con lo storico. Più in basso Carlo Spartaco Capogreco, durante il seminario, assieme a Nura Abdelmohsen, dottoranda all'Università di Firenze e Siena, e all'assessora Alessandra Nardini

“Nella scuola italiana stanno diminuendo le ore di storia”. Un problema, “il problema”, annota lo storico Carlo Spartaco Capogreco, che studentesse e studenti, professoresse e professori del viaggio della memoria toscano incontrano nella sede della Cgil a Modena al termine del primo giorno di viaggio, luendì 7 aprile, dopo aver visitato il campo di concentramento di Fossoli e il Museo Monumento al Deportato di Carpi. Le memoria ha bisogno infatti di conoscenza e la storia aiuta a conoscere il passato per leggere con le giuste lenti anche il presente. Senza storia tutto si fa più complicato. IL rischio è di sbagliare le coordinate, confondersi o leggere in maniera distorta o parziale i frammenti di un mosaico più ampio, anche doloroso, senza collegare tra loro le varie tessere.

Lo storico, docente all’Università della Calabria, è l’autore, tra i tanti suoi scritti, de “I campi del Duce” (2004), quelli realizzati tra il 1940 e 1943 per internare civili italiani o gli slavi della provincia di Lubiana, e de “I campi di Salò” (2025). Due lavori che provano a raccontare le deportazioni e persecuzioni, non solo contro gli ebrei, di cui fu responsabile il fascismo in Italia. E di questo si parla nell’incontro con le scuole toscane. 

Di quei campi per stranieri, per antifascisti o per soggetti ritenuti pericolosi in quanto diversi ne sorsero anche in Toscana:  a Bagno a Ripoli alle porte di Firenze ad esempio, a Villa La Selva, o a Civitella della Chiana. Erano veri campi di concentramento, “parola – avverte lo storico – che andrebbe decontaminata e dove si toglieva la vita senza ancora uccidere le persone” (se non raramente): evoluzione del confino di polizia o confino politico che vide la luce nel 1926 con le leggi fascistissime e di cui fino al 1943 oltre dodicimila donne e uomini e donne furono oggetto. Campi di concentramento, prosegue, “non diversi da tanti centri che popolano il nostro presente”.  Luoghi di autentica deportazione e non certo villeggiatura: come Ventotene, come Ponza, come Ustica. Al confino furono mandati italiani, ma anche albanesi e etiopi. Dopo il 1943, con la Repubblica di Salò, tutto cambia e lo strumento si fa ancora più aspro: i campi di concentramento diventano campi di sterminio o campi di transito verso la morte, anche fisica.  

Di tutto questo l’Italia e gli italiani si sono a lungo dimenticati. Come si sono dimenticati delle stragi e ritorsioni sui civili commesse dai soldati italiani sui vari fronti della guerra: come in Grecia ad esempio a Domenikon, che con i suoi centocinquanta morti civili uccisi in rappresaglia, si disse,  di nove soldati italiani uccisi dai partigiani greci è in fondo una Marzabotto dell’Egeo, una delle tante.   

Pagine rimosse a lungo dalla Memoria, in maniera retroattiva, persistente e trasvertsale. Anche durante il processo Eichmann del 1961, che divenne un evento mediatico che ebbe il merito di far conoscere al mondo i tanti contorni della Soluzione finale, uscì un’immagine appiattita del ruolo svolto dall’Italia in quegli eventi, il “Paese che aveva salvato gli ebrei”, mentre rimanevano sotto silenzio le responsabilità del fascismo monarchico  e di quello di Salò.  Di questa amnesia furono sicuramente complici il mondo diviso in due blocchi dalla guerra fredda e le ragioni della realpolitik (fino almeno al 1989 e 1991, con la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione sovietica). Ma lo studio della storia, dal salvare per l’appunto, può aiutare a riannodare i tanti fili strappati.